La DMB sul numero di Relix di Marzo 2013

  • 30 marzo 2013
  • di Corsina Andriano

Sul numero di Marzo della rivista statunitense Relix è stato pubblicato un lungo e splendido articolo sulla Dave Matthews Band firmato dalla straordinaria penna di Tom Moon.
Un ringraziamento speciale a Jennifer Balcom che ci ha procurato l´articolo ed a Carla Melis che ne ha curato la traduzione in italiano. Gran parte delle foto presenti nell´articolo (che pubblicheremo sulla pagina Facebook di Con-Fusion sono dello straordinario fotografo austriaco Rene Huemer.Diventate fan della sua pagina FB dove, nei prossimi giorni, Rene pubblicherà alcune sue foto della Dave Matthews Band.
Buona lettura!


NOTA DELL´EDITORE

Lo scorso dicembre la Dave Matthews Band ha suonato al Barclay Center di Brooklyn che aveva da poco iniziato l´attività e si trova a pochi isolati da casa mia. Anche se avevo già visto dei concerti lì da quando ha aperto a settembre, questa è stata la prima volta in cui ricordo di aver sentito un odore particolare quando ne ho varcato l´ingresso principale. Sì, era il posto giusto.
Sono arrivato in ritardo, il gruppo di spalla The Lumineers aveva già finito, e Dave & Co. avevano già suonato alcune canzoni (avevo un valido motivo per il mio ritardo visto che ero diventato padre per la seconda volta una settimana prima). Dalla folla emanava un´energia palpabile che si diffondeva nei vari corridoi che portavano alla corte centrale e sembrava in grado di avvolgersi attorno ai passanti per portarli dentro.
C´è un motivo per cui la DMB è stata la band che ha venduto più biglietti ai concerti nella prima decade del nuovo millennio; ha superato artisti quali The Rolling Stones, The Eagles, Madonna e gli U2 (in tutto hanno venduto oltre 11 milioni di biglietti per oltre mezzo milione di dollari).
Parte di quel successo si deve al fatto che un concerto della DMB non è tanto uno ´show´ con una coreografia definita, dei video e la stessa setlist di base ogni sera, ma piuttosto una performance. E quello che distingue la Dave Matthews Band dalle band citate prima è, in gran parte, la volontà di avere una discussione aperta fra tutti i componenti ogni volta che salgono sul palco. Ora, attenzione, non sono una jam band che fa concerti in due parti come Phish o Umphrey´s McGee, ma vogliono rendere veramente diverso ogni concerto.
E così, mentre in piedi verso le retrovie a circa metà concerto ascolto il sassofonista Jeff Coffin e il trombettista Rashawn Ross che allungano gli assoli e confabulano, non posso fare a meno di sentirmi come se avessero capovolto il cavallo di Troia: hanno attirato al concerto almeno una parte di ammiratori che si aspettano di partecipare ad una serata piena di grandi successi, e invece danno loro un´ampia selezione di materiale dalla carriera ventennale, e rinforzano molti brani con un prolungato jamming. Quando è stata l´ultima volta che alcuni di questi spettatori hanno sentito della vera improvvisazione?
Verso la fine del concerto ho notato il cantante dei Lumineers Wesley Shultz che era con un gruppo di amici. La band stava suonando Jimi Thing e Wesley si dondolava e cantava proprio come tutti gli altri presenti (me incluso). Dico solo che questo fenomeno è qualcosa a cui lui si stava abituando in quanto artista, dal momento che The Lumineers sono diventati solo da poco uno dei gruppi più famosi del paese con il loro primo album. Sorrideva, mentre si guardava attorno e ascoltava. Non posso esserne certo, ma credo che stesse pensando che uno stadio pieno di persone che cantano le tue canzoni a venti anni dall´inizio della carriera siano un bel segno del tuo successo.

Josh Baron
Caporedattore



Il camerino di Dave Matthews nel backstage del Wells Fargo Center di Philadelphia sembra brulicare di creatività. C´è un piano elettrico nell´angolo, con l´amplificatore che ronza. Sul tavolo un album da disegno con dei carboncini. La fedele chitarra acustica attende sul suo supporto. C´è un impianto audio, e sopra il guardaroba a rotelle c´è un portatile che emette il suo tipico suono man mano che arrivano le email. Matthews lo ignora e sorseggia il the mentre tiene d´occhio gli avvenimenti del mondo là fuori sul suo smartphone. Ci sono giorni in cui Matthews sta in questa stanza solo per alcuni minuti ma, come per tutte le cose che fanno parte dell´universo della DMB, la stanza è sempre pronta per il momento in cui arriva l´ispirazione. Matthews spesso registra idee per una canzone anche pochi attimi prima di salire sul palco...
Mentre ci salutiamo la sua attenzione è attratta dal baluginio di un messaggio. Dà un´occhiata veloce al cellulare e lo gira. No grazie. Si scusa e promette di ignorarlo. Del resto, si troverà di fronte all´incredibile capacità di distrarre dello smartphone quando fra pochi istanti sarà sul palco. Fuori da questa porta ci saranno presto 20.000 persone entusiaste, la cui idea di godimento della musica dal vivo al giorno d´occhi include anche il catturare sprazzi di essa in un video, mandare messaggi delle reazioni agli amici, e aggiornare istantaneamente lo status su Facebook. Le luci si abbasseranno, e Matthews uscirà verso il familiare boato euforico della folla in attesa.
Ma la prima cosa che vedrà saranno i visi illuminati dal basso dagli aloni blu degli schermi, mentre i fan digitano a velocità prodigiose, drogati da questo strumento che dà dipendenza. Gli chiedo cosa si prova davanti a questa visione, e lui fa uno di quei sospiri stile ´è buffo come va il mondo´. Per quel che ne so io, il comitato della Arena Rock Trade Association ( Non credo che esista, quindi lo devo intendere come un modo ironico del giornalista di riferirsi a Dave NdT) ha preso in esame proprio questo argomento. E per quel che ne so, potrebbe essere la cosa che Matthews teme maggiormente: ha una band formidabile, un´agile team di produzione e 100 brani da urlo a disposizione, ma questo potrebbe non essere abbastanza per contrastare il prossimo potente tweet.
´Stiamo diventando una società sempre più impaziente´ dice Matthews con tono di chi osserva, ma senza giudicare. ´Vogliamo la gratificazione immediata e troviamo il modo di ottenerla. Noi tutti – band e team – abbiamo notato che negli ultimi anni le persone usano sempre più i cellulari durante i concerti. Non so se questo diminuisce l´esperienza che cerchiamo di creare. So per esperienza personale che il mondo ´ad alta velocità´ può distrarre parecchio. Ti può impedire di essere presente al cento per cento´.
E con questa band non c´è niente di più importante dell´essere pienamente presenti. Ripenso ad alcune sere prima, quando Matthews e la sua band hanno suonato alla First Mariner Arena di Baltimora (la location più piccola del loro tour invernale). Hanno aperto con Seek Up, dal loro primo album Remember Two Things del 1993, e se la sono presa bella comoda ad iniziare. Il batterista Carter Beauford ha avviato il ritmo – uno scorrevole ritmo ternario con evidenti radici Africane – che il chitarrista Tim Reynolds ha esaltato con un superbo arpeggio alla chitarra elettrica.
Per alcuni minuti, mentre i fedeli di Baltimora si scaldavano con le urla e grida di rito, il groove era incredibilmente tenue, quasi fragile. E affascinante. Si sono aggiunti i fiati e Beauford li ha accolti con ritmi rapidi, complessi e sincopati. Sul palco nessuno aveva fretta, e dopo un assolo di violino di Boyd Tinsley meravigliosamente lamentoso Matthews si è avvicinato al microfono, con l´aria di chi è pronto a dare un´accelerata alle cose. Invece, senza spezzare il ritmo alla chitarra, si è allontanato come se si stesse godendo il modo in cui la band procedeva e non volesse far avanzare le cose troppo velocemente.
Questo ha dato luogo ad un´altra lunga scorreria, e nel momento in cui Matthews ha iniziato a cantare tutto il pubblico era eccitato e pronto. La band è esplosa, e il pubblico ha risposto con la propria, ancora più potente, esplosione. Decollo! L´intera avventura dell´introduzione è durata circa dieci minuti, ma è sembrata un lampo. Mentre scorreva ci si sarebbe potuti chiedere che ne è di tutta la ricerca sul moderno utente di musica – essere capriccioso che, si suppone, vuole una gratificazione immediata, pensa che la propria playlist sia sacra, ed è stato addestrato a non perdere tempo prezioso con le cose che non gli piacciono all´istante.
La maggioranza della gente era coinvolta, percorreva le sinuosità intagliate da una band che non stava facendo niente di particolarmente speciale per ´intrattenere´, attraverso un viaggio epico che non era piledriver rock...o skronky jazz o altro meticcio. Per 10 minuti. Si tratta di una durata incredibilmente lunga per un pezzo strumentale suonato in un palazzetto da hockey. Alto rischio di noia, almeno fra le ragazze del pubblico che non hanno bevuto perché devono guidare, le quali forse sopportano Dave ma hanno anche un debole per Carly Rae Jepsen (cantante pop canadese). Gran parte dei gruppi che suonano negli stadi piazzano due pezzi famosi e con tanti fronzoli nello spazio occupato da quell´unica introduzione. Lo dico a Matthews mentre a Philadelphia parliamo di come suscitare e conservare l´attenzione.
´Leggo tutta questa roba sul fatto che alla gente non interessa più niente che sia lungo o di sostanza, e lo capisco, ne ho la percezione nella mia vita´, dice Matthews ´ma credo che noi andiamo contro questa tendenza, in qualche modo. Ciò che facciamo non è istantaneo. La nostra musica richiede un po´ di sforzo da parte dell´ascoltatore.
Credo che le persone che vengono ai nostri concerti sappiano che vogliamo ottenere un qualcosa di nuovo quando suoniamo. Per noi, un concerto è come un invito a far parte di questo qualcosa che esploreremo insieme. Questo sembra incoraggiare una dedizione, un impegno in ciò che facciamo o un pizzico di pazienza – perché è ovvio che non sarà un viaggio col pilota automatico. Può capitare che allunghiamo un pezzo alla grande...ma qualsiasi cosa accada sarà diversa dall´ultima volta. O dalla sera prima´.
Manca un´ora all´inizio dello spettacolo di Baltimora e Carter Beauford sta seduto nel suo tranquillo autobus e batte un preciso ritmo multiplo sulle cosce. Indossa i guanti ed ha le bacchette in mano, e in un primo momento sembra che l´intervista lo possa distrarre da quello che è ovviamente il suo riscaldamento. Gli chiedo come si spiega il continuo successo di questa band che suona dal vivo da oltre vent´anni. Non perde neanche una battuta. ´In realtà è semplice: quando suoniamo cerchiamo di trasformare la musica in qualcosa di vivo´.
Proprio come uno dei suoi eroi, il grande batterista jazz Max Roach, Beauford crede che la musica si possa apprezzare al meglio se vista come una storia – un racconto organico che può, e forse deve, cambiare ad ogni momento. Dice ´Tante band suonano dal vivo esattamente come nell´album. Ma io dico che non si deve raccontare la storia sempre allo stesso modo, bisogna cambiare qualcosa!´. Continua dicendo che una buona serata si ha non quando lui e i sui compagni sul palco e tutta la produzione agiscono senza nessun errore, ma quando vagabondano e arrivano in un posto mai visto prima. Cosa non facile, aggiunge. Richiede una incredibile apertura, l´accettazione delle idee altrui, e (non ultima) la capacità tecnica necessaria per poter affrontare qualsiasi cosa.
´Ci sono sere in cui si lotta con ogni nota e ci si può impanicare´, ammette Beauford, ´Se non sei pronto, fisicamente o mentalmente, ti può capitare la serata in cui non si riesce a decollare. La musica ti prende a calci nel sedere dalla prima nota´. Perciò Beauford cerca di giocare d´anticipo. Fa stretching. Pratica la respirazione. Batte sugli arti. Gli dico che il ritmo che sta suonando, per quanto preciso, è difficile da definire ´riscaldamento´. Dopotutto, si muove pochissimo. Lui fa il sorriso del guru che si è appena visto offrire la possibilità di impartire un insegnamento.
´Questo lo credi tu!´ dice con una sonora risata. ´Qui sta il paradosso: i movimenti non servono solo a rilassarmi. Servono a farmi concentrare, e quando iniziamo non sto pensando alla batteria, ma ai quadri musicali che stiamo creando´. L´intervista termina, lo ringrazio di avermi dedicato un po´ del suo tempo e gli auguro un bel concerto. Lui ricambia e, mentre scendo dall´autobus, grida ´Ti parlerò musicalmente a breve!´. ´Ti parlerò musicalmente´, un concetto jazz. E, probabilmente, la filosofia ed il segreto ´non-così-segreto´ della Dave Matthews Band.
Quando suonano, può sembrare che eseguano ordinatamente una serie di brani ad alta energia – il solito rituale rock da stadio, l´accompagnamento perfetto per birre ghiacciate e spinelli.
Tuttavia, ad un altro livello, si stanno svolgendo dei dialoghi che si accavallano. Dialoghi fra i musicisti, che si snodano sotto le melodie e nelle crepe del groove. Dialoghi fra la band ed il pubblico, e fra la band e il suo team che è impegnato a cogliere e rinforzare qualsiasi pazzo cambiamento. Dialoghi fra vecchi e nuovi modi di affrontare i brani; persino le canzoni abbastanza ´blindate´ in termini di arrangiamento e modalità possono esplodere in modi nuovi.
La gente va ad un concerto della Dave Matthews Band non per sentire le canzoni preferite riprodotte in modo fedele, ma per vedere dove porterà la conversazione. Chi è lì ad assistere entra a far parte della conversazione. Dice Matthews: ´Ultimamente ho notato che c´è una parte consistente del nostro pubblico che non vuole sentire i nostri successi. Iniziamo a suonare uno dei brani diventati famosi alla radio e puoi quasi sentire la gente lamentarsi´. Aggiunge che in un certo modo questo è quanto di meglio possa desiderare ´perché dimostra che il nostro pubblico in realtà ha a cuore il percorso. Si è aperti all´euforia, alla gioia, che è ciò a cui miriamo sempre, e allo stesso tempo c´è la consapevolezza del suo opposto. Che sta sempre in agguato´.
Max Roach considerava l´improvvisazione del jazz come l´arte di raccontare una storia con la musica. Quando un solista si esprime, gli accompagnatori hanno il compito di seguire la narrativa facendo da supporto. Questo può voler dire non suonare tantissime note ma offrire delle opportune risposte, repliche, e piccoli gesti che mandino avanti le cose. Il tono e la qualità della conversazione dipendono dall´input di ciascun partecipante – si hanno i fuochi d´artificio quando lo scambio di battute raggiunge la punta massima o quando sembra che tutti stiano per abbandonare i soliti binari. In questo spirito, non è solo Carter Beauford ´che ti parla musicalmente´ - sono sette musicisti che si ascoltano a vicenda con attenzione mentre inseguono idee sovrapposte e intersecanti e si muovono vertiginosamente verso mondi immaginari.
Forse arrivano all´angolo di una strada per un po´ di breakdance, o svoltano verso una parata a Bahia dove il ritmo viene frammentato in uno scintillio sincopato. A volte le conversazioni avvengono alle spalle di Matthews, mentre lui canta, e altre volte sono nella musica, in primo piano. Spesso vanno ad ondate; durante una buona serata nessun musicista avrà la parte predominante. C´è un´attenzione quasi ossessiva per il tutto, il punto di incontro nel delicato centro della musica. Avendo provato la magia che si sprigiona quando si segue un racconto epico nel suo svolgersi, tutti (inclusi i tecnici del suono e delle luci) si concentrano sulle possibilità della narrativa, e la portano avanti in modo delicato.
´Quando ci ritroviamo dopo un periodo di pausa, la prima cosa che mi colpisce è l´intensità con cui si ascolta´, dice Reynolds, che ruota nell´orbita della DMB fin dai primi tempi di Charlottesville, Virginia. ´È come se ci si riabituasse ad una certa disciplina: ´Ah sì, è la zona in cui ci muoviamo tutti in qualche modo, nell´attesa di sentire che succede, in cerca di nuove possibilità´. Qualcuno fa qualcosa di piccolo, come una variazione di ritmo o anche solo un abbellimento, e fa andare tutto in una nuova direzione. Quando hai avuto un assaggio di quel modo di suonare, lo vuoi fare sempre´.
Il desiderio di suonare a un tale livello di interattività rappresenta solo il punto di partenza. Occorre abilità. Non tutti sono in grado di reagire all´istante con abilità ed eloquenza – di fronte a migliaia di persone che si aspettano di essere trasportate in un´altra dimensione. Occorre un orecchio eccellente e riflessi pronti, una naturale curiosità e la capacità di cambiare direzione senza intralciare il traffico. E ci vuole anche intuizione.
Jeff Coffin (il sassofonista che si è unito alla band quando LeRoi Moore, uno dei fondatori, è morto per le complicazioni dopo un incidente col quad nell´agosto del 2008) dice che quelle conversazioni musicali lo hanno subito entusiasmato.
In genere si pensa che uno spettacolo che si svolge davanti a 20.000 persona sia controllato dai computer. ´Questo invece è l´esatto opposto: una piccola jazz band´. (Il trombettista Rashawn Ross si è unito ufficialmente alla band nel 2006 ed ha apportato un´altra voce alla conversazione musicale che ha luogo ogni sera). Il bassista Stefan Lessard la mette in questi termini: ´Cerchiamo seriamente di migliorare come musicisti e ci teniamo molto a creare uno spettacolo dal vivo veramente interessante. Ci dedichiamo a tutti gli aspetti che lo compongono. Allo stesso tempo, però, quando suoniamo lo facciamo per la musica stessa, e cerchiamo di portarla oltre il limite a cui si è arrivati la sera precedente´.
Quell´obiettivo, insieme al rispetto fondamentale per il lampo di ispirazione, scorre – e guida – nell´intera organizzazione. Nel backstage tutti sembrano impegnati a raggiungere lo stesso scopo; i tecnici devono reagire con la stessa velocità dei musicisti. Si percepisce il fatto che tutto il team, comprese le persone che allestiscono il camerino di Matthews, è coinvolto nel creare le condizioni grazie alle quali l´improvvisa creatività può svilupparsi.
Ad esempio, i giochi di luce non sono preprogrammati. Quando, dopo l´ultimo tour al coperto, i membri della band hanno fatto presente di essere stati molto disturbati dai riflettori posti sul davanti, l´intero palco e l´impianto luci sono stati ridisegnati. Stavolta, i riflettori singoli azionati manualmente sono posizionati sul lato del palco. Matthews ride all´idea di aver creato un ambiente di lavoro unico. ´Come no! Vanno a lavorare in altri tour e quando tornano dicono sempre che il concerto rock abituale è una passeggiata rispetto al nostro´, dice.
Il tecnico delle luci Fenton Williams, uno dei vari tecnici della produzione che lavorano con la band fin dagli inizi, è d´accordo. ´Noi tutti vediamo i ragazzi [i musicisti] che affinano la loro arte ogni giorno, e vediamo anche che la musica può essere assai diversa di volta in volta. Come si affronta tutto ciò? O sai come reagire in un secondo oppure non lo sai. Essere in mezzo a questo tipo di energia ti fa venire voglia di andare oltre quanto ti viene chiesto´.
E così come i musicisti sono migliorati costantemente, i principali membri del team di produzione hanno affinato i propri ruoli, ampliandoli ovunque fosse possibile. Ogni giorno in cui è previsto un concerto, Williams inizia con l´assicurarsi che gli effetti di luce assortiti che richiedono programmazione siano al loro posto e pronti all´utilizzo. A circa un´ora dall´inizio gli viene data la setlist, e lui delinea i punti di transizione e i cambiamenti di atmosfera su larga scala, che userà come linee guida (questi cambiano ogni 20 minuti circa, a seconda del materiale). ´Cerchiamo di unire dei colori e delle consistenze che manipoleremo e cambieremo in tempo reale, e spesso ciò sarà così lieve che non ci si accorgerà di quando è avvenuto´, dice.
Durante il concerto c´è anche una continua discussione sulla proiezione dei video. Se gli schermi hanno mostrato i primi piani dei musicisti durante due o tre canzoni, Williams per un po´ mostrerà delle immagini più astratte. Durante ogni brano Williams segue la conversazione che si sta svolgendo sul palco e cerca dei modi per evidenziarla. Durante il concerto di Philadelphia, ad un certo punto Coffin e Reynolds hanno iniziato uno scambio di battute, con citazioni da ´Greensleeves´ e frasi di varia lunghezza e incredibile bellezza.
Williams allora ha puntato una luce viola prima nella zona del chitarrista, poi su Coffin, e man mano che il dialogo fra loro andava avanti, ha aumentato e diminuito le luci in magnifiche ondate. ´Mentre Tim e Jeff si scambiano idee in quel modo´, dice Williams ricordando quel momento ´devi cogliere l´attimo ed essere pronto a trarne qualcosa. Questo ti tiene sempre in allerta. Ascolto, seguo il loro percorso, e cerco di arricchirlo. Durante qualsiasi brano, in qualsiasi momento, so che c´è la possibilità che io sbagli. Non sai cosa può succedere. Si cerca di azzeccare il momento, ma che diamine, alla fine siamo solo umani!. A volte il tempismo non è dei migliori. E non c´è modo di fare una pausa e fermarsi. È eccitante´.
Ormai si conosce bene lo svolgimento fondamentale della storia della Dave Matthews Band. Nel 1991, un tizio con una bella voce e l´ambizione conosce i membri del più innovatore gruppo di Charlottesville, un gruppo jazz chiamato Cosmology guidato dal trombettista e guru della DMB John D´earth. Suonano sempre nel bar in cui lavora, e iniziano un tour del Sudest con un budget limitato.
Nel giro di due anni hanno un gruppo di seguaci quasi misteriosamente leale, hanno un giro di club e posti nei college dove suonare, hanno ottenuto un contratto per un album (che considerano non come un santo Graal ma come parte della strada su cui si sono avviati). Il ´mito´ cresce, ma la band resta concentrata sui concerti dal vivo.
Gli amici e i sostenitori iniziali del gruppo vengono coinvolti nell´impresa che si espande, e si occupano di tutto, dalla vendita delle T-shirt ai vari compiti durante i tour. Molti dei componenti principali dell´attuale produzione sono stati con la band fin dall´inizio. Williams, ad esempio, è stato il loro primo tour manager.
Se paragonata al solito percorso delle band rock che iniziano nei bar, la velocità con cui questa band è arrivata al successo è quasi supersonica. Ad un anno dall´uscita di Under the Table and Dreaming nel 1994 la band già suonava in grandi spazi, incluso il Red Rocks Amphitheatre in Colorado. Tutti loro ricordano i primi tour come lunghi ed estenuanti, ma sanno anche che ciò ha dato a Matthews e agli altri il modo di conoscere appieno l´arte di fare musica dal vivo e, cosa molto importante anch´essa, hanno avuto il tempo di studiare come si registra un album.
Dice Matthews: ´Quando ripenso a quel periodo, capisco che era il momento in cui ci dovevamo abituare alle cose, ci rendevamo conto che per suonare come volevamo suonare non potevamo dare niente per scontato. Questo è il bello del fondare tutto sull´improvvisazione: devi ricrearlo ogni volta. E man mano che miglioravamo abbiamo iniziato a chiederci a come diavolo fare per catturare quel modo di suonare in studio. Cosa molto difficile da fare´.
Con l´aiuto del produttore Steve Lillywhite – che ha prodotto i primi tre album della DMB per la RCA, oltre all´ultimo Away From the World – la band ha affrontato la registrazione in modi più insoliti. Matthews dice che il materiale presente in Before These Crowded Streets del 1998 non è altro che brevi frammenti di musica colti dal produttore mentre la band si scaldava. In quell´album e nei successivi, la band ha ampliato la propria musica in modi stilisticamente radicali, esplorando profondi ritmi Africani e saldo funk e ventose ballate. Matthews si è reso conto che per rendere giustizia a queste atmosfere ha dovuto imparare a migliorare i suoi testi. Ha iniziato a scrivere più apertamente riguardo il materialismo, l´alienazione, il razzismo e la difficoltà di proteggere il proprio spirito.
´Uno dei momenti di maggiore crescita per me è stato quando mi sono reso conto che la nostra musica parlava in un modo profondo, mentre a volte le parole erano invece un po´ evasive, meno impegnate´. Dice, ´Forse è dovuto anche al fatto di invecchiare, ma man mano che procediamo e la band si ritrova in questi luoghi musicali molto specifici, sento la sfida a scrivere brani un po´ meno ´da sbronza´ – brani che parlano del fatto di essere vivi...Devo ammetterlo, penso maggiormente a queste cose ora. Ad esempio, in Away From the World abbiamo ancora brani da ´cogli l´attimo´ e impulsi alla ´mangia, bevi e sii felice´, ma c´è anche del materiale più riflessivo e serio, come Broken Things. Una delle cose di cui sono più orgoglioso è il modo in cui quest´album cattura il suono mutevole della band. Non abbiamo paura di suonare qualcosa di ´grazioso´ o qualcosa che sia cupo e oscuro. E di trovarci bene in quel momento. C´è stato un periodo in cui mi sarei tenuto lontano da quegli estremi, ora non più´.
Non è esagerato dire che ogni membro della band ha sperimentato una simile crescita. In quelle lontane sere della metà degli anni ´90 quando si stava sdraiati sul prato ad esaltarsi al suono di ´Dancing Nancies´, Stefan Lessard andava a scuola sul palco. Così pure Carter Beauford, Boyd Tinsley e Fenton Williams. Dopo aver perfezionato un suono che andasse bene per gli stadi e piccole location al chiuso, la band ha dovuto affrontare la propria particolare sfida alla fine degli anni ´90 e gli inizi del nuovo millennio: cosa viene dopo? Come continuare a crescere come musicisti e conservare l´entusiasmo per il proprio lavoro, e al tempo stesso offrire uno spettacolo che possa catturare l´attenzione di 20.000 persone ogni sera?
Quello è stato il momento in cui i musicisti hanno iniziato ad apprezzare la dinamica delle loro conversazioni. Dice Beauford: ´Non credo sia stata una cosa a livello conscio, una cosa che ci siamo detti chiaramente a voce, ma ad un certo punto abbiamo iniziato a concentrarci più sulla chimica fra noi sul palco che su qualsiasi altra cosa. Col passare degli anni siamo diventati più maturi sia noi sia la nostra musica: abbiamo imparato ad interagire anche fuori dal palco e quali tasti non calcare a vicenda. Questo ci ha permesso di essere più rilassati nel momento in cui suoniamo, siamo diventati più aperti e ascoltatori più attenti´.
Beauford entra sempre a far parte, e giustamente, della lista ´i migliori batteristi al mondo´: pochissimi musicisti hanno il suo fluido senso del ritmo, il suo preciso tempismo, la sua predisposizione per il movimento drammatico preciso e velato. Viene tenuto in alta considerazione nel mondo musicale – e nell´ambito della DMB.
´Sembrerà sdolcinato, ma quando suona Carter ti dà una mossa´, dice Lessard nel suo autobus mentre esegue studi col basso. ´Carter è un potente catalizzatore, ed ha degli standard elevati. Ognuno di noi cerca di suonare al meglio la propria parte, ma cerca anche di fare di tutto per migliorare le cose nel complesso´.
Quando si è unito alla band, Lessard suonava il basso da meno di un anno. Ha dovuto ´imparare facendo´, imparare non solo a scrivere delle buone parti di basso, ma anche imparare a ´capire cosa stesse facendo Carter, e entrare a farne parte nel modo giusto´. Dice di averlo fatto ascoltando attentamente. ´Il mio scopo era di far ballare il basso all´interno di questa musica, il che significa ascoltare ogni accento ed ogni fuori tempo, e insieme pensare e non pensare´.
Siamo all´ultima serata del tour invernale, pochi giorni prima di Natale. Ascolto la Dave Matthews Band per la terza volta nel 2012 e sono ancora in attesa di arrivare al punto del ´già visto e sentito´
Se ci deve essere un enorme scivolone da parte della band o del team, allora questa è probabilmente la serata in cui avverrà.
Ho riflettuto sulle carriere delle rock band più longeve e su quanto sia difficile conservare la creatività quando si suona per un pubblico enorme anno dopo anno. Di solito si raggiunge un punto massimo dopo il quale la scintilla diminuisce e i concerti diventano un pochino scontati. Forse le folle sul prato non notano questo cambiamento, ma i fan sfegatati sì. Si accorgono di essersi un po´ annoiati. Non sono più tanto coinvolti, di solito a causa dello scarso coinvolgimento dei musicisti.
La disillusione iniziale porta ulteriore scetticismo – improvvisamente il materiale nuovo non sembra tanto interessante. Ben presto inizia lo sfacelo.
Penso a questo mentre guardo la Dave Matthews Band salire sul palco di Philadelphia. Anche se la band è stata prudente riguardo i tour – nel 2011, l´anno più leggero da questo punto di vista, hanno partecipato solo ad alcuni festival – questi musicisti hanno affrontato la sfida di palazzetti, piccole location e stadi per molto tempo. Molto più a lungo di quanto avrebbero potuto pronosticare le malelingue che li avevano liquidati come ´intrattenimento per universitari´ a metà degli anni ´90.
Eppure, in qualche modo, quando salgono sul palco questi musicisti non appaiono come veterani annoiati e stufi. Si immergono nell´ascolto vicendevole e cercano di capire come possono sfruttare quel momento. Iniziano lo spettacolo con il labirinto conosciuto come Seven, una insidiosa sfida metrica che inizia in 4/4 per poi passare a 7/8, con brevi deviazioni in 6/8 fra le sezioni. Gli spettatori sono su di giri – la corsa DMB è iniziata.
Mentre il groove si serra, la band suona non solo con forza ed energia, ma anche con un certo fervore deciso e mi ritrovo a pensare una serie di pensieri liberamente collegati: che in termini musicali, stanno avvenendo qui delle complessità strutturali che si vedono raramente nel rock; che gran parte del pubblico può anche infischiarsene di questi elementi complessi ma di sicuro ne sentirebbe la mancanza se si tornasse alla banalità del 4/4.
E mentre la band utilizza questi espedienti diventa più unita, più impetuosa, sicuramente esaltante, e mi viene in mente che le esigenze della musica stessa – i tornanti a singhiozzo, le difficilissime battute funk – tengono tutti i membri della produzione concentrati su ciò che può accadere. C´è un grado di coinvolgimento tangibile che è veramente simile a quanto accade in piccoli ambienti jazz. Mentre scrutano gli angoli musicali, questi ragazzi sono veramente curiosi di vedere cosa succederà in seguito. Sono conversatori da vecchia scuola, il che significa che ascoltano più di quanto parlino. Non esiste una formula per il successo – è più un approccio, una ampiezza o frequenza totalmente aperta per ogni comunicazione. Non importa quanto sia esoterico il materiale o quanto siano abili i musicisti, le conversazioni musicali si dipanano con sorprendente chiarezza. In un periodo in cui così tanta musica si basa sullo spettacolo abbagliante, questi ragazzi invece ti parlano musicalmente. E questo fa la differenza.

Tom Moon scrive regolarmente per la trasmissione ´All Things Considered´ (´Tutto considerato´) della National Public Radio ed è l´autore del bestseller del New York Times ´1000 Recordings To Hear Before You Die´ (´1.000 album da ascoltare prima di morire´).


Traduzione dall´inglese di Carla Melis